sabato 19 novembre 2011

Alessandro e i suoi Fratelli

E' da poco uscita per Coconino Press la seconda graphic novel di Alessandro Tota, Fratelli, una storia molto diversa per stile e contenuti da quella di Yeti .

I fratelli della tua storia sono personaggi senza opportunità e senza speranze: Cosimo e Nerone non prendono in considerazione la ricerca di un lavoro e provano a guadagnarsi qualche soldo vendendo oggetti di proprietà (in questo caso un quadro di Schifano) con la consapevolezza di avere comunque una madre alle spalle che li mantiene; Claudio e Nicola passano il tempo coi punkabbestia e i soldi li spendono per procurarsi droghe di vario tipo. In entrambi i casi sembra, dalle loro parole, che la loro situazione sia immutabile, che non vedano possibilità di cambiamento. In un momento di difficoltà, infatti, Nerone grida a Cosimo "Possiamo fare diversamente?", mentre in un'altra scena Claudio dice "L'alternativa qual è? I miei compagni di classe? Almeno coi punkabbestia succede qualcosa."
Come mai ti è venuta voglia di raccontare personaggi di questo tipo?


Alessandro Tota: Perché anche io condivido quel disagio. A differenza dei miei personaggi, ho trovato la soluzione in altre pratiche, nel mio caso il lavoro e la vita di coppia, ma il disagio resta.

La prima cosa che si nota, facendo un confronto tra Yeti e Fratelli, è la differenza di tratto e di colore. Mentre Yeti ha colori vivaci e un tratto ordinato, Fratelli ha segni più istintivi e nessuna traccia di colore. è la storia che avevi in mente che ha influenzato la scelta estetica o il disegno ti ha portato a raccontare un certo tipo di storia?

A.T.: Direi che io parto sempre dal disegno, specialmente dai disegni più istintivi, e da li' comincio a costruire. Ma é un fenomeno che non saprei spiegare, è molto misterioso ed è più salutare per un autore lasciarlo in ombra.

Fratelli comprende un primo racconto, del 2007, i cui personaggi rientrano nella seconda parte del libro, conclusa quest'anno. Come mai hai voluto, a distanza di qualche anno, riprendere quella storia? E cosa ti sembra cambiato nel tuo modo di lavorare?

A.T.: Il lavoro si interruppe perchè l'editore francese con cui doveva uscire il libro mi lascio' in panne, tirandosi indietro all'ultimo momento. Cosi' parcheggiai tutto e disegnai Yeti per un altro editore. Poi ho deciso di riprendere in mano il progetto, grazie al sostegno delle edizioni Cornelius in Francia e della Coconino Press in Italia.
Nel frattempo il mio modo di lavorare non era cambiato particolarmente. Si tratta di storie diverse, che necessitavano tecniche differenti: Yeti è un incrocio tra favola e commedia agrodolce, Fratelli sono due racconti lunghi abbastaza realistici, ma questi mondi convivono nella mia testa. Sono aspetti della stessa poetica.

Il tuo libro parla solo dei tuoi protagonisti e della città di Bari o vuole dire qualcosa su una generazione e uno stile di vita che esce dai confini della storia?

A.T.: A me interessa raccontare una storia che mi emozioni e mi sembri bella. Se riesco in questo intento, magari arrivo a dire qualcosa di più generale sulla mia epoca, ma non è la mia prima preoccupazione. Quando comincio una storia mi muovo in un territorio fatto di relazioni tra personaggi ed emozioni, e lo indago: dare un senso a questa impresa è già una bella sfida per il momento.

venerdì 11 novembre 2011

Chi le paga?

A settembre mi sono trovata a New York per un paio di giorni e ho deciso di andare da Strand, la storica libreria del Village di cui avevo tanto sentito parlare. Ho ovviamente curiosato nella zona delle graphic novel e ho trovato Paying for it, di Chester Brown, che mi era stato caldamente consigliato, non ancora uscito in Italia.
Sono andata in un parco lì vicino e su una panchina ho iniziato a leggere. Dati i disegni di scene di sesso molto esplicite, mi chiedevo che cosa potessero pensare i miei vicini di panchina. Nono sono più riuscita a staccarmi e la sera l'avevo già finito. E ancora non capivo quale fosse la mia opinione rispetto alla questione.

Cosa c’è di male nel sesso a pagamento? Il famoso fumettista canadese, racconta in questa graphic-memoir (Io le pago, Coconino Press)la sua esperienza come cliente di prostitute, smontando ogni stereotipo e pregiudizio.

Attraverso disegni essenziali in bianco e nero, l’autore rivela perché ha deciso e come ha iniziato a frequentare prostitute, dopo l’ennesimo fallimento della vita di coppia. Un personaggio inesperto che non sa come scegliere una ragazza, quando pagarla e come avvicinarsi. In ogni capitolo ci porta da una donna diversa, ognuna con la sua storia e la sua unicità. Il volto è però sempre girato o fuori campo, mentre non sono nascoste le incertezze del primo appuntamento , le premure verso la reciproca soddisfazione, le difficoltà economiche nel sostenere per circa dieci anni le spese per il sesso.

I suoi disegni sono espliciti, ma mai volgari. Nonostante la continua presenza dei corpi svestiti nei loro dettagli più intimi, l’erotismo lascia il posto alla razionalità delle sue riflessioni (prima), del suo sentire (durante), e delle sue opinioni (dopo). Non c’è traccia di giudizio ma solo un lucido ragionamento sui rapporti tra clienti e prostitute, dalle motivazioni che spingono ad una scelta di questo tipo, alle varietà di relazioni che si possono instaurare tra un uomo che paga e una donna che riceve soldi. All’interno del racconto, Chester discute animatamente con i suoi amici, cercando di smontarne i radicati pregiudizi. La sua posizione è molto netta: sostiene che l’amore romantico sia soltanto un’idea e che inseguirla porti più sofferenza che felicità, perchè una stessa persona non può soddisfare “tutte le nostre esigenze emotive e sessuali”. Per lui l’amore non può essere intaccato da esclusività, gelosia e possessione come invece la vita di coppia monogama e tradizionale impone. L’autore non accetta stereotipi legati alla prostituzione e crede che non debba essere considerata un crimine.

Il suo punto di vista è decisamente controcorrente rispetto all’idea di coppia e famiglia con cui siamo cresciuti. Il personaggio di Chester, però, è talmente premuroso con le donne che frequenta e così onesto nelle sue riflessioni, che risulta naturale seguire i suoi ragionamenti e mettere in discussione almeno qualche base della nostra educazione sentimentale. Ma proprio quando si raggiunge un minimo di empatia e si riconosce qualche ipocrisia, è lui stesso a sorprenderci, tornando in qualche modo sui suoi passi…

martedì 1 novembre 2011

Barcazza

L'altro giorno a Lucca Comics ho comprato 4 libri. Uno di questi è Barcazza (di Francesco Cattani, Canicola), che avevo preso in mano un sacco di volte negli ultimi mesi ma, non so perchè, mai comprato. E' strano leggerlo a novembre, dato che la storia è d'estate e al mare. Tutto bianco e nero ma in qualche modo si percepisce una luce abbagliante.

Mi è piaciuta molto una pagina che è un primissimo piano e devi guardarla un sacco prima di capire che è una faccia, perchè d'istinto vedi un paesaggio. Poi scorgi un orecchino, intuisci un orecchio, giri il libro in orizzantale e capisci che è la faccia di una ragazza sdraiata.

Ci sono pochissime linee, però sono perfette perchè le posizioni dei corpi dicono tutto delle persone, senza troppi dettagli. Ad un certo punto c'è lei sulla terrazza, di fronte al mare. Vedi il dettaglio dei suoi piedi, uno sopra l'altro, con le punte che si guardano. E hai già capito come sta.

Ci sono anche pochissime parole e tanti silenzi. Intere pagine senza parole, ma non se ne avverte il bisogno.

E infine ci sono delle nudità senza imbarazzo e dell'intimità senza romanticismo, senza giudizio, nella sua naturalezza. E quasi noia.

E' uno di quei fumetti dove non sai bene se inizia e finisce qualcosa, o se succede qualcosa. Ma uno di quelli belli da guardare, che ti regalano un'atmosfera precisa, che rimane con te per un po'. Un po' di poesia.

sabato 16 luglio 2011

Yeti, inconsapevole simbolo di diversità


Yeti (Coconino), la prima graphic novel di Alessandro Tota, è la storia di un essere favolistico che decide di andare ad abitare nella realtà urbana, a Parigi. Nella metropoli si scontra con tutte le difficoltà del nuovo arrivato: la casa, gli affetti, il lavoro. Un personaggio così surreale si trova ad affrontare vicende assolutamente realistiche e verosimili, dal tono malonconico e divertente allo stesso tempo.
Yeti è chiaramente il simbolo dell'essere "altro" in una grande città. Come mai hai scelto proprio un essere non-umano con queste precise caratteristiche estetiche?


Alessandro Tota
: A dire la verità non ho scelto il personaggio in relazione al simbolo dell'"altro".
Ho inventato prima il personaggio, in un contesto completamente diverso da quello del libro: era una cosa fatta per gioco, nei miei taccuini. E solo dopo ho aggiunto il paesaggio di Parigi per contrasto.
Nasce tutto da una suggestione che è soprattutto visiva.
Volevo fare qualcosa che avesse i tratti della favola, e che si scontrasse con elementi di realismo.
La tematica della diversità è stata dedotta da questa operazione.

Comunque facendolo non mi sono accorto di niente, non avevo il distacco necessario, La riflessione si è svolta a posteriori, anzi a dire la verità l'hanno svolta soprattutto gli altri, perché quando finisco una storia, non ci penso più.
La verità è che tutto si svolge in modo molto inconsapevole, i pensieri di una vita finiscono in maniera naturale in un libro: non è che li stai a selezionare troppo. E' il modo in cui vivi e vedi il mondo che viene fuori da sé, senza sforzo.

mercoledì 23 marzo 2011

Meglio mostrare che dire

A few questions to Florent Ruppert & Jérome Mulot about their graphic novel Irène et les clochards (Canicola).

Irène, the main character, has a dark view of life and in the book you can see a mixture between reality and her imagination: she often sees herself brutally killing other people with her sword, she imagines way of committing suicide and sometimes she also dreams about flying above Paris. Even though we can't see her face details, since she's only depicted by the outline of her head and by a triangle replacing her eyes, nose and mouth, we can perfectly understand her feeling by the way she moves and by her words.
Is there a specific reason why you made such a strong aesthetical choice?


Yes, we believe that erasing the emotions on the face of the character allows the reader to imagine them. Llike if the neutral face of Irène was a blank page and the reader would draw the emotions with his own ones on this blank page.

Your use of words and lines is very essential. It seems you want to leave the reader the possibility to complete with the imagionation waht you don't tell and don't show. What do you think is the right balance between writing and drawing in graphic novels?

I don't know if there is a right balance, for the author is a matter of deciding what he wants. If I should give an advice to young graphic novelist I would say: it's always better to show than to tell, it's more efficient trying to give a feeling or an idea not talking about it, it's better to let the reader find out by himself. It's the same in life, our personal experience is better than taking lessons from others. Better to make big mistakes and learn from them, than not making mistakes and wonder if listening to what you've been told is the right choice or not.

At the beginning of the story, Irène is interested in asking questions to clochards in order to understand something about them. She can't complete her research but, at the end, she seems to become one of them. Have you completed her study through her own story in a sort of short circuit?

It's hard to answer this question. The next issue will be about the life of Irène before this book and will tell the story of how he lost her breast (one of the two). The clochards are our way to describe the difficulties in Irène relations with the "others" and to tell about her personal attraction/repulsion with homeless people.

martedì 15 marzo 2011

Il Grande Buio dei sogni

Una domanda a Gabriella Giandelli sul suo libro Interiorae (Coconino Press).

Interiorae mostra le diverse abitazioni di un palazzo, ritratte con interni geometrici e particolareggiati, in realzione alle storie dei loro abitanti, in una sorta di piano sequenza che inanella le vicende umane dei vari personaggi.
Nella storia ci sono due figure principali: il Grande Buio, una massa scura e informe che abita in cantina e si nutre dei sogni altrui, e il Coniglio Bianco, un essere etereo che si sposta, invisibile, tra un appartamento e l'altro e fa da tramite tra il Grande Buio e gli abitanti.
Come mai hai associato una figura così cupa ed inquietante ad una che evoca invece grande tenerezza?
E ad un certo punto il Gande Buio dice "Le case sono organismi, vanno tenute in vita, con l'energia dei sogni di chi ci abita": cos'è il Grande Buio, fuori da questa metafora?


In Interiorae ho cercato di lavorare sulla rappresentazione di un palazzo e della vita dei suoi abitanti per poter raccontare un sistema di cose, lo schema abitativo delle persone in una città contemporanea, e la sua decadenza.
Il personaggio del Grande Buio risiede in cantina. La cantina è il luogo che, all'interno di un palazzo, rappresenta la parte scura, irrazionale. Se all'interno dei loro nuclei abitativi, gli appartamenti, gli uomini cercano disperatamente un ordine, un sistema di oggetti che li tranquillizzi, la cantina è vicina alla organicità della terra, è il regno delle ombre e dell'ordine sovvertito, dell'irrazionalità appunto.
Il Grande Buio è una creatura con una grande pancia nera di velluto, un materiale che assorbe la luce, piena dei sogni degli abitanti del palazzo. Cioè piena anche simbolicamente delle aspirazioni perdute, della vera anima di ognuno di loro, continuamente nascosta. La sua presenza tiene in vita il palazzo, i sogni come concime alle sue radici.
Se Il Grande Buio va via infatti il palazzo implode su se stesso, muore.

Il Coniglio è una figura simbolica, è una citazione da Lewis Carroll ma anche il Coniglio del film Donnie Darko e Harvey, ed è soprattutto Nanabozho, il Grande Coniglio del culto dei nativi americani che si credeva fosse l'intermediatore tra gli uomini e il Grande Spirito.
Nella storia il Coniglio svolge proprio questo ruolo di servitore e intermediario del Grande Buio presso gli abitanti del palazzo, vede ciò che accade e riferisce.

venerdì 25 febbraio 2011

quando la finzione diventa realtà (e ritorno)


A question to Niklas Asker about his graphic novel Second Thoughts (Il giorno in cui non ci incontrammo) (Elliot).


In Second thoughts, Jess, the main charachter, is writing a book and she takes inspiration from stories and people part of her real life. When I was reading the book I wasn't sure whether I was in the main story or in Jess's story. Your narration unfolds so smoothly that you never really know which story you're in: if it's the main story or Jess's book. That's very intriguing and engaging.
In your life, do you ever feel like you could be part of someone else's book or that people you know could be written or painted in your works? Did you take inspiration from people you know for this graphic novel?



I think art is essential to our lives. We use it as a mirror and it helps us distance ourselves from our own lives. I don't imagine myself as being a part of someone else's story, but that might be because I hate the idea of being controlled by someone else. I do however, think that reality (whatever that is) and fiction (whatever that is) melt together all the time. Everything we experience is, after all, impressions. Who's to say what is real and not.
A book might affect me more than a person and vice versa. I encounter someone or something in my life that inspires me to write or paint. In this sense everyone I know is included in my work in one way or another. Reality inspires fiction.
Then someone reads what I've written or looks at a painting and hopefully it makes them think about their own lives, maybe even inspires them to change something. Fiction inspires reality.
This cycle is what I call art.

Second Thoughts is a work of fiction. I've never dated a rock star in London while working as a photographer, and my name is not Andrew or John. On the other hand, the story is inevitably a mix of things I've experienced, a kind of essential remix of the hardships of love I've seen in my life. So in that sense it's very much real and I am in fact a character in my own story.


Una domanda a Niklas Asker sulla sua graphic novel Il giorno in cui non ci incontrammo (Elliot).

Ne Il giorno in cui non ci incontrammo, Jess, la protagonista, sta scrivendo un libro per il quale prende ispirazione dalle storie e dalle persone che fanno parte della sua vita. La tua narrazione scorre così bene che non è sempre facile capire in quale storia si è calati: se in quella principale o in quella raccontata da Jess nel suo libro. é tutto molto intrigante e accattivante.
Nella tua vita, ti capita mai di pensare che potresti essere parte del libro di qualcun altro o che le persone che conosci potrebbero essere scritte o disegnate nei tuoi lavori? Per questa graphic novel ti sei ispirato a persone che conosci realmente?


Penso che l'arte sia essenziale nella nostra vita. La usiamo come uno specchio e ci aiuta a prendere le distanze tra noi stessi e la vita. Non riesco ad immaginarmi parte della storia di qualcun altro, ma questo potrebbe essere perchè odio l'idea di essere controllato da qualcun altro. Però penso che la realtà (qualsiasi cosa sia) e la finzione (qualsiasi cosa sia) si fondono sempre. Tutte le esperienze che viviamo, in fondo, sono impressioni. Chi può dire cosa è reale e cosa no?
Un libro potrebbe influenzarmi più di una persona e viceversa. Incontro qualcuno o qualcosa nella mia vita da cui traggo ispirazione per scrivere o dipingere. In questo senso tutte le persone che conosco sono incluse nei miei lavori in qualche modo. La realtà influenza la finzione.
Poi qualcuno legge quello che ho scritto oppure osserva un dipinto e magari è portato a riflettere sulla propria vita, o addirittura a trarre spunto per cambiarla in qualche modo. La finzione influenza la realtà.
Per me, l'arte è questo ciclo.

Il giorno in cui non ci incontrammo è fiction. Non sono mai uscito con una rock star a Londra mentre facevo il fotografo e il mio nome non è nè John nè Andrew. Da un altro punto di vista, la storia è inevitabilmente un mix di cose che ho vissuto, una sorta di miscuglio essenziale di tutte le difficoltà che ho attraversato in amore. In questo senso è molto reale e io sono effettivamente un personaggio nella mia storia.

domenica 20 febbraio 2011

tra l'inizio e la fine



Una domanda a Bastien Vivès sulle sue graphic novel pubblicate in Italia, Il gusto del cloro e Nei miei occhi (Blackvelvet).

Entrambi i libri hanno in comune l'incompiutezza di un sentimento e l'inconsistenza di una possibile relazione. Entrambi sono incentrati su una incantevole figura femminile, seguita da diversi punti di vista ne Il gusto del cloro e filtrata unicamente dallo sguardo della voce narrante in Nei miei occhi. Ci fai provare quello che sente il protagonista e ci lasci, alla fine, con lo stesso senso di sospensione a cui lui è abbandonato.
Pensi che sia più interessante raccontare una storia che non abbia un esito rassicurante? E' questo il modo migliore per ritrarre un desiderio, lasciarlo insoddisfatto?


In effetti, quando avevo scritto queste due storie, cercavo delle verità...
Quello che mi interessava erano l'attitudine e la relazione tra i personaggi.
E' per questo che la fine diventa come l'inizio... in maniera naturale.
Un po' come la vita, l'inizio e la fine sono le sole cose che sappiamo. E' quello che succede nel mezzo ad essere interessante da racontare.

Sono libri sui sentimenti: una volta conclusi possiamo tranquillamente lasciare i personnaggi, senza avere bisogno di sapere dove andranno o da dove sono venuti.

lunedì 14 febbraio 2011

conservare le citazioni


Una domanda ad Alessandro Baronciani, sul suo libro Le ragazze nello studio di Munari (Blackvelvet).

"I libri raccontano delle storie. I libri usati raccontanto anche altre storie."
Le ragazze nello studio di Munari trabocca di citazioni: locandine di film, oggetti di design, copertine di libri e di dischi, architetture. Fabio, il protagonista, sembra vagare senza meta in questo mondo di riferimenti.
Quale storia vuoi davvero raccontare in questo libro?


Mi piace l'idea che in un periodo come il nostro, dove tutto si sta trasformando e digitalizzando ci sia sempre qualcosa che vuoi conservare perché è bella. Un po' come con le fotocamere digitali: oggi scattiamo tantissime foto, ma stampiamo soltanto quelle che ci piacciono di più.

lunedì 7 febbraio 2011

partenze e ritorni


Una domanda a Manuele Fior, sul suo ultimo libro Cinquemila chilometri al secondo (Coconino Press)

Lucia, la protagonista, parte per Oslo, mentre Piero si trasferisce al Cairo. Per poi ritrovarsi, dopo molte pagine che significano anni, e dirsi che ritornare è peggio che partire, perché si ritrova tutto come lo si è lasciato, a parte se stessi. Nei dialoghi del libro c’è la tua esperienza? Perché i personaggi temono il ritorno?

Perché il ritorno non accetta i cambiamenti sopravvenuti con la partenza. Le persone che ti conoscono, il contesto in cui hai vissuto continua a vederti per quello che eri, non per quello che sei diventato. Penso che sia più difficile ingoiare il rospo di ritornare a casa, piuttosto che affrontare i rischi e le paure delle partenze. Partire, si dice che sia un po' morire – ma è soprattuto cominciare una vita nuova, avere la sensazione di poter cambiare una volta per tutte, sicuramente scoprire dei nuovi lati di sé stessi.

Non so se ti è mai capitato di leggere quella storia di Gente di Dublino di Joyce, Eveline.
Tutti attorno a lei partono, lei sogna di fuggire col marinaio che ha appena conosciuto. Ma sul più bello, mentre la nave sta salpando e il ragazzo la chiama, lei rimane avvinghiata alla ringhiera della banchina e lancia un urlo tremendo. Non riesce a vincere la paura della partenza e deve ritornare alla polverosa casa di suo padre, a annusare le tende di “dusty cretonne”. Il ritorno è un po' quell'urlo, che devi imparare a soffocare.