lunedì 7 febbraio 2011

partenze e ritorni


Una domanda a Manuele Fior, sul suo ultimo libro Cinquemila chilometri al secondo (Coconino Press)

Lucia, la protagonista, parte per Oslo, mentre Piero si trasferisce al Cairo. Per poi ritrovarsi, dopo molte pagine che significano anni, e dirsi che ritornare è peggio che partire, perché si ritrova tutto come lo si è lasciato, a parte se stessi. Nei dialoghi del libro c’è la tua esperienza? Perché i personaggi temono il ritorno?

Perché il ritorno non accetta i cambiamenti sopravvenuti con la partenza. Le persone che ti conoscono, il contesto in cui hai vissuto continua a vederti per quello che eri, non per quello che sei diventato. Penso che sia più difficile ingoiare il rospo di ritornare a casa, piuttosto che affrontare i rischi e le paure delle partenze. Partire, si dice che sia un po' morire – ma è soprattuto cominciare una vita nuova, avere la sensazione di poter cambiare una volta per tutte, sicuramente scoprire dei nuovi lati di sé stessi.

Non so se ti è mai capitato di leggere quella storia di Gente di Dublino di Joyce, Eveline.
Tutti attorno a lei partono, lei sogna di fuggire col marinaio che ha appena conosciuto. Ma sul più bello, mentre la nave sta salpando e il ragazzo la chiama, lei rimane avvinghiata alla ringhiera della banchina e lancia un urlo tremendo. Non riesce a vincere la paura della partenza e deve ritornare alla polverosa casa di suo padre, a annusare le tende di “dusty cretonne”. Il ritorno è un po' quell'urlo, che devi imparare a soffocare.

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